Chiesa di San Daniele Profeta

Camerota, Salerno

Descrizione

Cronologia:

  • La fondazione della chiesa più antica di Camerota, di rito greco fino al XIII secolo, viene attribuita ad un gruppo di Bizantini, rifugiatosi nella terra di Camerota, per l’affermazione della dinastia normanna (1059);
  • La chiesa, verso la fine del XVIII secolo, viene chiusa al culto;
  • 1798 - Restauro;
  • 1857 - Completamento dei lavori di restauro;
  • 1909 - Altro restauro;
  • 1957 - Altro restauro;
  • 1992 - Altro restauro;

 

Descrizione architettonica:

La chiesa è a navata unica, con il campanile rettangolare, arretrato rispetto alla facciata e collegato alla sagrestia. I dodici altari minori da sinistra il Santissimo Nome di Gesù, San Vincenzo Ferreri, San Francesco d’Assisi, Santa Maria Regina del Cielo, Santa Maria della Catena, San Giovanni Battista, Natività, Santa Maria delle Grazie, Vergine del Rosario. Alle pareti laterali dell’abside, il coro ligneo; alla parete centrale, l’altare maggiore in muratura, sovrastato dal quadro della Vergine di Pompei: voluta da Luisella Greco, la tela, dipinta il 1905 e racchiusa nella cornice di oro zecchino finemente elaborata. Al lato sinistro del presbiterio, il dipinto del 1562, della Madonna di Costantinopoli, probabilmente dell’artista napoletano Pietro Negroni. La Vergine con il Bambino Gesù sulle gambe, circondata ed incoronata dagli Angeli; San Daniele Profeta, in giovanile rapimento; San Giovanni Battista. In mezzo all’abside, è presente l’altare marmoreo con forme angeliche aggettanti; il ciborio, contenuto nel tempietto, con la colomba.

 

Notizie storiche:

La chiesa è la più antica struttura di rito greco fino al XIII secolo e viene attribuita ad un gruppo di Bizantini rifugiatosi a Camerota, nel 1059 quando i Normanni determinarono la fine della Signoria Bizantina nell’Italia meridionale.

La chiesa, verso la fine del XVIII secolo, viene chiusa al culto: il campanile crollato, la soffittatura infradiciata, la travatura pericolante, i muri solcati da profonde fessure, le tombe rotte, il pavimento sconnesso.

Nel 1797, il vicario foraneo don Clemente Giannoccari propone, al clero ed al popolo, una ristrutturazione del fabbricato, ma il sindaco don Francesco Stanziola, data la passività del bilancio comunale, non può deliberare alcun contributo. I lavori inizieranno nel 1798, per concludersi dopo 59 anni, con l’intervento finanziario del munifico vescovo, mons. Nicola Maria Laudisio. Il restauro, intelligente risultato di arte e di tecnica, restituisce all’attenzione religiosa ed al diletto estetico, una pagina della pittura meridionale del Cinquecento.

Nel 1909, il sacerdote don Biagio Di Muro, dalla fine dell’Ottocento parroco di San Daniele Profeta, attua il suo disegno: rimossi l’altare maggiore in muratura ed il coro, rimoderna il presbiterio, sopraelevato di uno scalino e recintato da una balaustra decorata, di ferro battuto. La pennellata del calabrese Settimio Tancredi, il 1957, risparmia i misteri del maestro Manduca, annullandone la lettera iniziale del nome di Maria.

Dopo il restauro del 1992, la chiesa di San Daniele Profeta ritorna ad essere ‘’come una grande lezione di pietra nel mistero divino’’ per lo scrittore – teologo Gianfranco Ravasi.

 

Note. Lapidi, stemmi, epigrafi:

A ricordo di mons. Laudisio, al centro del pavimento di San Daniele Profeta, ancora oggi, risalta lo stemma vescovile. Due Scudi: uno della Congregazione del SS. Redentore, con la croce ed i simboli della passione di Cristo sullo sfondo di una raggiera gialla; un altro gentilizio, con due leoni affrontati, accanto ad una torre merlata e fiorita, a colori naturali.

 

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